40 ANNI DALLA MORTE DI MORO. Un colpo di Stato che assoggettò per sempre la Repubblica Italiana.

40 anni fa esatti, la mattina del 9 maggio 1978, si consumava l’ultimo atto di quello che fu non soltanto il più importante delitto politico del novecento italiano bensì un vero e proprio attentato all’indipendenza ed alla sovranità del nostro Paese, ossia un’inedita forma di colpo di Stato mascherato da atto di terrorismo pseudo-rivoluzionario 1.

Col rapimento e con l’assassinio di Aldo Moro, le sedicenti “Brigate Rosse” non intesero portare avanti alcun reale progetto rivoluzionario ma, al contrario, agirono in sintonia e con la copertura ad ampio raggio loro offerta dalle componenti più reazionarie degli apparati del nostro Stato e di alcuni Stati stranieri nonchè con la collaborazione attiva di settori della criminalità organizzata (in primis di quella calabrese)2.

Aldo Moro fu eliminato principalmente perchè era un vero statista e coltivava una visione dell’agire politico all’insegna dell’autonomia, un’autonomia che all’Italia uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale non è mai stata concessa e chiunque abbia anche solo provato a sovvertire tale principio ha dovuto pagare un prezzo molto alto.
A partire dalla morte di Moro, l’Italia avrebbe imboccato un inesorabile processo di degrado sociale e di declassamento geo-politico, contraddistinto da una incessante ed umiliante compressione della nostra sovranità nazionale.

Qualche anno dopo il delitto Moro, in coincidenza con la ambigua stagione di Mani Pulite e con il crollo dei tradizionali partiti popolari e di massa, le sirene del populismo giustizialista – che Moro seppe riconoscere in tempi non sospetti con inusitata preveggenza – avrebbero preso il definitivo sopravvento sul nostro sistema politico, trasformando la Repubblica Italiana, già a sovranità limitata dal 1945, in una nazione del tutto ininfluente sul terreno dei rapporti internazionali, spogliata delle sue potenzialità economiche e il cui gioco politico interno è quasi interamente ridotto ad un mero teatrino farsesco.

Attorno ai segreti (tuttora per molti versi indicibili) del caso-Moro si regge ancora oggi un patto di omertà tra tutti i settori “collaborazionisti” del nostro mondo politico e quegli apparati italiani e stranieri che all’epoca del misfatto agirono fin dal principio con una serie concatenata di condotte – attive ed omissive – tutte finalizzate a fare in modo che Aldo Moro fosse infine ucciso, come in effetti avvenne la mattina del 9 maggio 1978.

Tra i pochi ad essersi realmente spesi in prima persona per cercare di salvare la vita ad Aldo Moro, meritano di essere menzionati l’allora Papa Paolo VI Montini, Bettino Craxi, Claudio Signorile, l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone, l’allora Presidente del Senato Amintore Fanfani e il giurista socialista Giuliano Vassalli.

 

Anche la Commissione Parlamentare d’inchiesta Moro 2 ritiene altamente probabile
l’effettiva presenza sul luogo della strage di via Fani del boss ‘ndranghetista Antonio Nirta.

 

La strada della trattativa con le B.R., percorsa con decisione da Craxi nel periodo centrale della vicenda del sequestro Moro, nelle intenzioni dei suoi ideatori avrebbe dovuto consentire la scarcerazione di una brigatista non condannata per fatti di sangue in cambio della vita dello statista pugliese.

A sua volta, quest’ultimo con buona probabilità – secondo gli accordi intercorsi tra le parti – avrebbe dovuto rinunciare definitivamente al suo progetto politico della “solidarietà nazionale” e consegnarsi nelle mani del Vaticano, dove ad attenderlo fraternamente c’era il suo vecchio amico Pontefice Giovanni Battista Montini.

Molti indizi e diversi elementi oggettivi ci inducono a convincerci che, nella fase finale del suo sequestro, Moro fu affidato a dei mediatori ovvero ad elementi della criminalità comune che fiancheggiavano la componente più propriamente “politica” delle B.R. e che avevano ricevuto il compito di gestire la possibile liberazione dello statista, previo incameramento di un maxi-riscatto di 10 miliardi di lire messo a disposizione da Paolo VI.

In quel contesto, all’ultimo momento, la mattina del 9 maggio 1978, mentre la stessa direzione nazionale della Democrazia Cristiana si apprestava a dare il via libera allo scambio di prigionieri, dovrebbe essere intervenuta una qualche entità sovra-statuale che avrà imposto a tutti gli attori in campo l’unica conclusione possibile di quella vicenda: l’inevitabile assassinio di uno statista troppo acuto e troppo indipendente da potere essere lasciato incautamente in vita, soprattutto per il fatto di avere intuito fin dalle fasi iniziali del suo sequestro la presenza dietro le quinte di alcune soggettività insospettabili ed indicibili all’opinione pubblica, senz’altro ben diverse dalle B.R.

Per chi abbia voglia di capire come andarono effettivamente le cose 40 anni fa, è altamente consigliabile la lettura degli atti dell’ultima commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Beppe Fioroni (che di recente ha consegnato la relazione finale dell’organismo nelle mani del Procuratore capo della Repubblica di Roma) nonchè alcuni testi fondamentali da poco pubblicati come L’ULTIMA NOTTE DI ALDO MORO (a cura di Paolo Cucchiarelli, edizioni Ponte alle Grazie) e IL PUZZLE MORO (a cura di Giovanni Fasanella, edizioni Chiarelettere).

Nella relazione conclusiva licenziata dalla seconda commissione Moro al termine dell’ultima legislatura, i parlamentari componenti hanno riscritto interamente alcuni capitoli della vicenda del sequestro e dell’assassinio dello statista pugliese, svelando una serie incredibile di complicità e coperture di cui ebbero a godere le sedicenti “Brigate Rosse”, che in nome di una fantomatica rivoluzione proletaria eliminarono dal gioco politico lo statista italiano più filo-palestinese e maggiormente inviso a Washington, Londra e Tel Aviv.

Il libro di Cucchiarelli descrive a fondo le ultime fasi della trattativa intercorsa tra le B.R. e quelli che volevano realmente salvare Aldo Moro, menzionando più di un indizio a carico del probabile killer dello statista, Giustino De Vuono, para-brigatista di origine calabrese e già membro della legione straniera, il cui nominativo finì ben presto sui principali giornali a ridosso del ritrovamento del cadavere di Moro, per poi sparire misteriosamente da tutte le inchieste giudiziarie nel corso di questi ultimi decenni.

D’altro canto, il libro di Fasanella costituisce uno strumento indispensabile al fine di inquadrare il contesto internazionale in cui maturò il delitto dello statista italiano, con tutti gli specifici aspetti dell’azione politica di Moro che risultavano destabilizzanti per gli equilibri dell’epoca dei due blocchi e che ne decretarono la morte: il Moro Ministro degli Esteri, il Moro dell’apertura al PCI, il Moro del dialogo con i palestinesi, il Moro fedele rappresentante del nostro interesse nazionale nel campo petrolifero e, infine, il Moro che osò dire di “no” ad Henry Kissinger.

A distanza di 40 anni da quell’orrendo delitto che consumò la vita e privò il nostro Paese dell’estro politico del grande statista nativo di Maglie, oggi nel 2018, assieme a sua figlia Maria Fida e all’amato nipote Luca, tutti gli uomini giusti sono chiamati ad andare avanti nel percorso di ricostruzione della verità.

Perchè non c’è nulla di più rivoluzionario della verità.

E perchè, come diceva Aldo Moro, la verità è talmente preziosa che “datemi un milione di voti e toglietemi un atomo di verità e io sarò perdente“.

Giuseppe Angiuli

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Note a pié di pagina:

  1. Tra i primi ad avere alluso alla nozione di colpo di Stato con riferimento al caso-Moro vi è Giuseppe De Lutiis, grande conoscitore del mondo dei servizi segreti, autore del libro “Il Golpe di via Fani. Protezioni occulte e connivenze internazionali dietro il caso Moro” (Sperling & Kupfer Editori).
  2. A proposito del ruolo svolto dalla ‘ndrangheta nella vicenda Moro, appare ormai accertata la presenza in via Fani a Roma, il 16 marzo del 1978, a pochi minuti dalla consumazione dell’assalto alle auto del servizio di scorta dello statista democristiano, del boss Antonio Nirta, detto “due nasi”, uomo di punta del clan di San Luca d’Aspromonte.